Reiner Janke è un noto intonatore e studioso tedesco, membro fondatore della Förderverein Orgelforschung; nel 1995 ha collaborato a un progetto di ricerca sulla produzione del suono nelle canne labiali presso il Fraunhofer-Institut di Stoccarda. Nel sito www.orgel-info.de illustra con grafici e animazioni i risultati di queste ricerche. Recentemente si è occupato anche delle tecniche di intonazione nell’organaria tedesca della seconda metà del Novecento, mettendo in luce alcuni atteggiamenti “ideologici”, come per esempio il rifiuto dell’uso di dentare le anime oppure il ricorso a metodi di invecchiamento artificiale dello smusso dell’anima.
In un articolo comparso sull’ISO Journal (numero 40 – aprile 2012, abbonamento sottoscrivibile presso www.internationalorganbuilders.com) Reiner Janke si pone la domanda se l’intonatore sia artigiano o artista. La risposta è stimolante, perché egli ammette che durante i quasi 35 anni di carriera il suo approccio è cambiato gradualmente: agli esordi era molto concentrato sull’aspetto tecnico e la manualità occupava un ruolo predominante nel controllo dell’intonazione di ciascuna canna. La sensibilità artistica matura con l’esperienza e si deve confrontare con i limiti imposti dalla tecnica nel momento in cui si tenta di tradurre in timbro e suono l’ideale estetico pensato per un intero strumento.
Ora tralascio alcune pur interessanti considerazioni relative a quali siano i fattori culturali che contribuiscono a formare la “klanglische Idee” per ciascun intonatore (per Janke sono armonia, equilibrio, carisma, teoria dei colori) e quali siano i fattori fisici (ambiente e posizione, parametri d’intonazione, disposizione fonica e taglie dei registri, sistema d’accordatura, manticeria e qualità del vento, cassa di risonanza, tipo di somiere e distribuzione del vento).
Punto invece all’ultima parte dell’articolo, in cui Janke definisce quelli che ritiene siano solo fattori marginali nella creazione dell’immagine sonora complessiva. Spero che ciò contribuisca a indebolire alcune false o imprecise convinzioni, che ancora circolano nell’ambiente organistico italiano: in particolare la leggenda secondo cui il materiale del risuonatore influisce sul timbro.
L’analogia fra la tavola armonica di un pianoforte e le pareti del risuonatore d’una canna labiale è assolutamente infondata, anzi è vero il contrario. È indubbio che le pareti della canna vibrino quando essa produce un suono: basta appoggiare una mano sul corpo della canna per sentirlo tremare. Tuttavia è fisicamente impossibile che queste vibrazioni del risuonatore generino suoni. Il modo di oscillazione delle pareti avviene radialmente a partire dalla zona centrale del corpo, una sorta di rigonfiamento. Per irradiare l’armonico fondamentale attraverso le oscillazioni della parete, il diametro del risuonatore dovrebbe essere all’incirca pari alla lunghezza d’onda. Normalmente perciò la vibrazione non può produrre alcun suono, sino almeno al quindicesimo armonico, e comunque l’intensità è molto debole, tanto da perdersi nel rumore di fondo. Piuttosto invece si deve riconoscere che la vibrazione del risuonatore ha un influsso passivo sul suono della canna. La risonanza delle pareti sottrae energia alla produzione del suono, convertendola in movimento. Quindi la funzione del risuonatore è di contenimento della colonna d’aria in cui si genera l’onda stazionaria attraverso il noto meccanismo del flusso oscillante attraverso la luce e la bocca. Idealmente l’energia acustica non dovrebbe affatto dissiparsi attraverso le pareti. Perciò l’analogia con la tavola armonica del pianoforte non va.
Le varie leghe organarie e i metalli hanno strutture cristalline che rispondono diversamente alle sollecitazioni meccaniche, inoltre la lavorazione della lastra (gettata su sabbia, su tela, piallata, trafilata, martellata) influisce sugli spessori ottenibili e sulla sua durezza e compattezza. Il risuonatore perciò è semplicemente più o meno efficiente nel contenere la colonna d’aria senza dissipare l’energia acustica.
Janke ha predisposto un esperimento, in cui ha intonato sette diverse canne, costruite con diverse leghe e spessori di parete ma identiche per fattura e misure. Sottoposte al giudizio di una commissione di esperti, non sono state valutate dissimili per quanto riguarda la risposta del materiale.
Un secondo esperimento prevedeva che le canne fossero intonate in modo da suonare identiche, obbligandosi a mantenere per tutte la stessa altezza di bocca e intervenendo solo sugli altri parametri liberi (apertura della luce e del foro al piede, allineamento dell’anima e dello scudo, denti). Poichè l’immagine sonora cambia in relazione alla distanza e all’angolo d’ascolto, si fecero rilievi con strumenti di misurazione in camera anecoica: gli spettri sonori prodotti dalle diverse canne erano sovrapponibili, ma i parametri d’intonazione liberi variavano. Si dimostrò che quanto più duro e spesso è il metallo, tanto meno vento è necessario a produrre lo stesso suono. Per esempio la luce della canna costruita con lastra di lega al 20% di stagno assottigliata a un terzo dello spessore verso la sommità del corpo aveva una superficie maggiore del 40% rispetto a quella d’una canna con il 75% di stagno, ossia era più aperta e i denti più profondi. Infatti nella canna più sottile la dissipazione dell’energia acustica attraverso le pareti doveva essere compensata fornendo più aria ed enfatizzando il suono fondamentale.
Accade sovente che canne di taglia molto stretta, come nei registri violeggianti, siano costruite usando spessori sottili per facilitare la lavorazione. Purtroppo lastre con bassa percentuale di stagno e sottili non funzionano, e dunque sarebbe bene usare un metallo più duro, come lo zinco, che a quegli stessi spessori risponde meglio. Inoltre i pregiudizi contro lo zinco sono dettati dall’avversione all’organaria industriale e alla scarsa attenzione filologica prestata nel passato nel ricostruire registri o colmare lacune con materiale non omogeneo per misure e fattura. Lo zinco permette di usare spessori di lastra più sottili: il labbro superiore sottile aiuta a sviluppare gli armonici acuti, dunque è consigliabile nei registri violeggianti.
Un terzo esperimento dimostra che se canne di legno e metallo suonano diversamente, ciò è dovuto alla diversa costruzione delle bocche, non alla natura del materiale: dopo aver costruito apposite canne di metallo, troncate poco sopra la bocca, sul cui corpo può essere innestato un risuonatore di legno che funge da prolungamento (sia cilindrico che prismatico), non si avvertono differenze timbriche.
 
Reiner Janke sul timbro nelle canne d’organo
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