I due compositori sono separati da un secolo di polifonia, eppure Francisco Correa de Arauxo conosce l’arte complessa del maestro fiammingo, attivo presso la cappella reale di Carlo V nella prima metà del secolo XVI.
L’arte di Nicolas Gombert è giocata sulle asimmetrie, irta di dissonanze costruite a forza, quasi per dimostrare che la musica non conosce limiti. L’insegnamento del suo maestro, Josquin des Prez, è presente, ma non lo spirito italiano di chiarezza forte e luminosa che fa di Josquin il Michelangelo della musica rinascimentale. Piuttosto Gombert è sempre pronto a sfidare le leggi del contrappunto, provocando inquietudine e sgomento: quarte trattate come consonanze, false relazioni, accordi con quinta eccedente o quarta diminuita, imitazioni strette a intervalli inconsueti: è un repertorio a cui penso che Arauxo abbia guardato.

Nella Facultad organica (1626) esiste in particolare una nota advertencia, la diciassettesima e ultima, in cui Arauxo chiama in causa Josquin, autor antiguo y grave e Gombert excelente musico, y el que mas e mejor usò de estas falsas approposito di una nueva falsa de punto intenso contra remisso. Nella letteratura iberica del Cinquecento l’uso delle falsas, dissonanze e licenze armoniche, è largamente attestato. Tuttavia in Correa l’aspra severità dell’arcaismo è chiaramente usata in senso espressivo: al culmine di un gesto retorico, e spesso sull’accento forte. La tecnica sul cui uso Correa sente di dovere delle spiegazioni è quella del cosiddetto mi contra fa, cioè dell’alterazione d’una nota che funge in qualche modo da “semitono sensibile” mentre la stessa nota non alterata compare contemporaneamente in un’altra voce. Solmizando, la parte con la nota alterata canta “mi” e l’altra con la nota normale canta invece “fa”. Questo espediente consente di congiungere due sezioni formali mascherando una cadenza: mentre una voce si comporta come se stesse chiudendo, l’altra rilancia l’imitazione. Tuttavia il particolare sapore che hanno questi scontri armonici diventa presto mezzo espressivo, e perde la ragione teorica. In Correa si trovano due tipi di punto intenso contra remisso: quello diretto, sia sul tempo forte sia di passaggio sul tempo debole, sia fra voci distanti (ottava o quindicesima aumentate/diminuite) sia vicine (unisono aumentato/diminuito); quello indiretto, che consiste nella successione dei due stati della nota, prima un giro melodico ascendente-discendente d’una voce sul “fa” e poi la clausola formale dell’altra voce sul “mi”. Questa formula è usata da Correa addirittura in progressione (II tiento y discurso de segundo tono, miss. 101 e segg.). Lo stesso uso della dissonanza è presente nella letteratura inglese da Tallis fino a Byrd e oltre.
La letteratura italiana, in particolare quella meridionale, conosce ovviamente le dissonanze (durezze e ligature, consonanze stravaganti da Macque a Trabaci, a Frescobaldi) però il mi contra fa non è diffuso. Si trova in Storace, piuttosto tardi rispetto ai compositori iberici e inglesi. Tornerò sull’argomento, ma intanto propongo di Gombert l’ascolto del motetto citato da Correa: O gloriosa Dei genitrix.
Essendo la questione delle alterazioni (musica ficta) un vero e proprio campo di battaglia, ancora oggi si possono trovare interpretazioni più o meno amare, alcune purtroppo addirittura dolcificate, con la normalizzazione indiscriminata di tutte le cadenze!
Ecco alcune opere di Gombert da studiare: il ciclo dei Magnificat sugli otto toni, Credo a 8, Media vita, Luget David Absalon, Mille regrets, Tous les regretz, Musae Iovis.

Correa e Gombert