Tipologia storica dell’organo italiano

Per delineare una tipologia storica dell’organo italiano si devono considerare i fatti seguenti.

La grandezza dello strumento è determinata dalla misura della canna maggiore di facciata e non dal numero dei registri o delle tastiere; gli strumenti sono classificati di 24, di 12 o di 6 piedi quando hanno tastiere inizianti in Fa; oppure con tastiere da Do possono essere di 16, di 8 o di 4 piedi; i piccoli strumenti senza registro di 8 piedi son detti ottavini, perché basati sull’Ottava.

La collocazione rispetta le esigenze di estetica architettonica e di acustica. Poiché lo strumento era usato principalmente per la liturgia, era collocato in prossimità o addirittura al disopra degli stalli corali. È collocato in una cantoria nell’ultimo intercolunnio (in una chiesa a tre navate) prima del transetto, oppure è appeso al muro perimetrale della navata unica o alle pareti laterali del presbiterio o dei bracci del transetto; più rara è la collocazione nell’abside, mentre è assai frequente sopra la porta principale in Veneto e in Lombardia. Comunque la necessità di una cantoria posta a metà altezza circa tra pavimento e soffitto era avvertita universalmente, poiché tale posizione permette al suono di diffondersi in modo uniforme nell’ambiente e giungere il più direttamente possibile agli ascoltatori.
Sovente un architetto era consultato per il disegno della collocazione e del prospetto; la progettazione della chiesa coinvolgeva talvolta anche l’organo…

Il prospetto cambia adeguandosi agli stili architettonici, al gusto musicale, agli indirizzi organari delle varie epoche, regioni e scuole.

  • Il prospetto a 5 campate è tipico dei secoli XV e XVI, ma sopravvive in qualche raro esempio nel secolo XIX e talvolta presenta un secondo ordine di canne mute – gli “organetti morti” – sovrapposto alle canne dei campi minori.
  • Il prospetto a 3 campate è tipico del secolo XVII, attestato sporadicamente durante il secolo XVI a Cremona e a Roma e nel secolo XIX.
  • Il prospetto con campata unica è diffuso durante i secoli XVIII e XIX; la facciata può presentare una sola cuspide centrale (spesso in Lombardia nella seconda meta del secolo XVIII), una cuspide con ali (tipica della scuola veneziana sette-ottocentesca, ma anche lombarda), tre cuspidi (esempi lombardi della prima meta del secolo XIX).
  • Tradizionalmente il prospetto italiano è piatto, ma influssi transalpini e gusti architettonici durante il secolo XVIII inducono a linee più mosse e profili articolati mistilinei, concavo-convessi, a 3 campi convessi nelle regioni centrali e meridionali della penisola.

L’articolazione in più corpi è attestata in Italia fin da epoca remota e non solo per influsso di organari stranieri.
Durante il Sette e l’Ottocento gli organari veneziani e lombardi collocano l’organo eco nel basamento della cassa a sinistra delle tastiere. Non di rado l’eco può anche trovare posto dietro il Primo Organo (così fanno i Serassi nella seconda meta del Settecento).
Il positivo tergale, noto anche come “organetto del poggiolo” compare nel secolo XVI.
La scuola lombarda ottocentesca sviluppa un “melodium” tergale di carattere solistico, sovente limitato ad un solo registro (Trombe a squillo).
La scuola settecentesca veronese-gardesana usa i “tromboncini in cassetta”, collocati a mo’ di Brustwerk; invece è tipica della scuola veneta la collocazione in facciata di registri ad ancia di tipo “regale”: tale prassi fu proseguita e sviluppata in Italia centrale (Marche, Umbria, Lazio) durante l’Ottocento.
I Serassi collocavano la Cornamusa “en chamade”, ed esempi simili si trovano anche in Sicilia, Marche e Abruzzo.
Sempre i Serassi, ma anche i Montesanti, i Lingiardi, i Bossi e i Sona non di rado collocavano in prospetto i registri ad ancia della basseria a mo’ di “torri di pedale”.

L’estensione delle tastiere, così come le misure dei tasti, hanno obbedito nelle varie epoche alle esigenze della prassi esecutiva: da un minimo di 38 tasti (Fa1 – La4) senza i primi due e l’ultimo cromatico nel Cinquecento ad un massimo di 73 tasti (Do-1 – Do6) nell’Ottocento; ambiti tipici sono:

  • 47 tasti (Fa-1 – Fa4 senza i primi due cromatici) nel periodo 1450-1530 circa;
  • 50 tasti (Fa-1 – La4 senza i primi due e l’ultimo cromatico) nei secoli XVI e XVII in strumenti di 12′
  • 45 tasti (Do1 – Do5 con prima ottava corta, cioè priva dei primi 4 cromatici – C#, Eb, F#, G# – e i restanti disposti nella successione C, F, D, G, E, A, Bb, B) dal Seicento all’Ottocento, ma già attestata nella scuola rinascimentale cortonese;
  • 50 tasti (Do1 – Fa5 con prima ottava corta) in Lombardia già dagli inizi del Seicento sino a tutto il Settecento;
  • 52 tasti (Do1 – Sol5 con prima ottava corta) in Lombardia e vicinanze durante la prima metà dell’Ottocento;
  • 54 tasti (Do1 – La5 con prima ottava corta), dapprima in Lombardia da metà Ottocento, e in seguito ampliato a 58 tasti con prima ottava normalizzata e diffuso anche altrove;
  • 47 tasti (Do1 – Re5 con prima ottava corta) presso la scuola veneziana agli inizi dell’Ottocento negli strumenti di piccole dimensioni, mentre gli strumenti maggiori (di 12 piedi) spesso hanno 54 tasti (Fa-1 – Do5) o addirittura di 59 (Fa-1 – Fa5), in entrambi i casi senza i primi due cromatici.
  • In Italia meridionale è dominante l’ambito di 45 tasti, ma s’incontrano pure manuali di 50 tasti (Si-1 – Do5) e 48 tasti (Do1 – Do5) senza il primo C#.

L’uso del temperamento mesotonico dalla metà del XV sino alla meta del XVII secolo circa portò non raramente alla prassi dei tasti “spezzati” o “scavezzi” per ampliare le possibilità di trasposizione, soprattutto con le coppie Eb/D#, G#/Ab, e talvolta C#/Db.
Sino a tutto il Settecento i tasti diatonici furono corti e piuttosto larghi, poi durante i primi decenni dell’Ottocento le dimensioni andarono uniformandosi e adattandosi ai modelli pianistici, anche in conseguenza alla diffusione di nuove tecniche esecutive e diteggiature.

La pedaliera dell’organo italiano è poco sviluppata, ed è usata principalmente per note tenute e cadenze; un uso più ricco del pedale, inteso come prolungamento verso il basso del manuale, è forse possibile nell’organo rinascimentale nord-italiano in cui era usuale l’ambito di 20 tasti (Fa-1 – Re2 senza i primi due cromatici); agli inizi del Seicento è diffuso l’ambito di 18 tasti (Fa-1 – Do2 senza i primi due cromatici); durante i secoli XVIII e XIX spesso la pedaliera presenta 17 tasti (Do1 – Sol#2 con prima ottava corta seguiti sovente da uno o due tasti per accessori quali Terza mano, Tamburo o Rollante) e ha un’estensione reale di 12 note (prima ottava corta di 8 note più la successiva ottava cromatica con i soli cromatici reali e i diatonici richiamanti le note dall’altra ottava).
Non sono infrequenti ambiti più estesi, e comunque l’estensione reale varia in relazione al numero di canne presenti sul somiere: la presenza di 18 tasti non è sufficiente in sé a descrivere la composizione della basseria, giacché possono esistere canne aventi duplice funzione di rinforzo e di nota reale, canne della basseria stessa che sono incluse nel Rollante, come usa fare Callido, canne dotate di valvola semitonale, eccetera.
I piccoli strumenti noti come positivi hanno generalmente una piccola pedaliera in ottava corta di 8 (Do – Si) o 9 tasti (Do1 – Do2), costantemente unita alla tastiera e priva di canne proprie.
In alcuni grandi strumenti toscani sette-ottocenteschi due pedaliere sono rispettivamente collegate alle tastiere di corpi diversi.

La trasmissione è generalmente a meccanica sospesa (il tasto agisce come leva di 2° genere): negli organi a due tastiere è sempre di questo tipo la trasmissione del manuale superiore (corrispondente al Primo Organo), mentre quella inferiore agisce o premendo su tiranti rigidi di legno (come negli strumenti di scuola veneziana) o tirando una meccanica attaccata in coda (come presso la scuola lombarda); negli organi positivi ad ala di scuola romana e nei regali la meccanica è diretta: i tasti mediante pironi premono sui ventilabri;

Gli strumenti di grandi dimensioni hanno normalmente il somiere a vento, documentato fin dalla seconda meta del secolo XV e praticato ancora nei primi decenni del secolo XX in Lombardia e Toscana; il somiere a tiro fu preferito dalla scuola veneziana durante Sette e Ottocento, dagli organari bolognesi del secolo XVIII, da quelli della scuola veronese-gardesana ed è il tipo universalmente praticato in Italia meridionale.

La pressione del vento è normalmente piuttosto bassa. I valori si aggirano mediamente intorno a 40-45 mm in colonna d’acqua con somiere a vento, e intorno a 50-55 mm con i somieri a tiro.
L’intonazione è generalmente condotta col criterio della piena aria, cioè controllando il flusso mediante la luce e moderatamente chiudendo il foro al piede; le bocche delle canne sono relativamente basse; l’uso di dentare l’anima è quasi assente negli strumenti rinascimentali e barocchi, mentre in epoche successive l’organaro intona con denti poco profondi, regolarmente distanziati e non fitti (le violette sette-ottocentesche sono però spesso prive di denti); solo durante il secolo XX le tecniche d’intonazione si avvalgono di altri espedienti ed artifici quali baffi, freno, dentatura profonda e fitta.

Il crivello è spesso costruito di legno dagli organari toscani già nel secolo XVI e dai veneti del Sette-Ottocento. In Italia settentrionale durante i secoli XVI e XVII si usava il cuoio, mentre la scuola lombarda sette-ottocentesca usava il cartone.
Le bocche delle canne si trovano generalmente sotto il crivello nelle epoche più antiche e ancora nel secolo XIX presso gli organari bolognesi e toscani (concomitante può essere la prassi di incrementare la lunghezza del piede delle canne dal grave verso l’acuto, che sopravvive in qualche caso sino al XIX secolo); le bocche sono sovente poste sopra il crivello presso la scuola veneziana (Callido fa però parlare la Voce Umana sotto il crivello) e lombarda.

Il Ripieno è tradizionalmente articolato in file separate. A questo principio rimasero sempre fedeli gli organari toscani e veneti, mentre i lombardi già nel Settecento accoppiavano le file acute (XXVI-XXIX, XXIX-XXXIII, XXXIII-XXXVI).
Il limite di acutezza fu abitualmente 1/8 di piede (canna della Quintadecima sul tasto Do 5), raggiunto il quale le file ritornellano all’ottava sotto: ne consegue che le file in ottava (XXII, XXIX, XXXVI) hanno il ritornello sfalsato rispetto a quelle in quinta (XIX, XXVI, XXXIII).
La Duodecima su base di otto piedi non è consueta, almeno sino a tutto il Settecento.
L’impiego dell’armonico di terza come XXIV (spesso in coppia con una XIX) è documentato presso le scuole lombarda e veronese-gardesana durante il Settecento e la prima metà dell’Ottocento, con sporadiche attestazioni in terra veneta ed emiliana. Prima di scomparire verso il 1850 lo si trova limitato ai bassi.

La Voce Umana, regolarmente limitata ai soli soprani, si basa sul principio dei battimenti: è una fila di canne di taglio medio accordate crescenti rispetto al Principale (fa eccezione la scuola veneziana che preferiva accordarla calante). La sua diffusione risale soltanto alla fine del secolo XVI e il suo impiego si può ritenere generalizzato durante il secolo XVIII (ma la scuola toscana l’ignorò durante il secolo XIX).

I registri ad ancia – sia a tuba corta (Cornamusa) sia a tuba normale (Tromboni) – furono praticati già dagli organari italiani del Rinascimento (Onofrio Zeffirini, Giovanni Cipri, Baldassarre Malamini); al regale rimasero fedeli i veneziani, mentre la scuola lombarda già alla metà del secolo XVIII preferiva i registri a tuba normale (Fagotto Bassi – Tromba Soprani) e le altre tipologie (Corno Inglese Soprani di misura larga, Clarone Bassi di misura stretta, Violoncello).

I registri con canne tappate totalmente o parzialmente furono sporadicamente praticati in Italia: flauti in VIII tappati furono costruiti da organari veneziani e gardesani, flauti a camino si trovano presso le scuole veneziana, lombarda e toscana. In area veneta è attestato qualche raro caso di flauto tappato con calotta saldata e munito di baffi per regolazione di accordatura.

Gli accessori sono tradizionalmente il tremolo (tremolante) nei due tipi a vento aperto e a vento chiuso (rispettivamente con valvola all’esterno oppure all’interno del portavento), l’uccelliera (di solito costituita di due o più cannine che pescano in una o più vaschette riempite con acqua), il tamburo (detto anche Rollo o Rollante, ottenuto suonando assieme più canne sia indipendenti sia appartenenti ai registri di pedale e azionate mediante apposito meccanismo: le note emesse generano veloci battimenti acustici).
Nell’Ottocento fu usata la “grancassa” composta di grancassa vera e propria, un piatto (cappello cinese), una campanelliera (sistro) e talvolta anche un “rollante” di canne di legno.
Nell’Italia centro-meridionale è tipico l’uso di una coppia di zampogne (2 canne ad ancia, di solito con tuba di legno, accordate a distanza di quarta o di quinta).
Accessori propriamente meccanici sono il tiratutti del ripieno (documentato sporadicamente dal Seicento), la combinazione preparabile “alla lombarda” (diffusasi nel Settecento e nota in Toscana anche come “polisire”), la terza mano (una super-ottava praticata nel secolo XIX e nota in Toscana come “diplofono”).
Poco diffusa fu in Italia la cassa espressiva. Fu usata per un registro ad ancia corta, posta sul somiere verso il fondo e con il coperchio apribile (così la concepiva il marchigiano Sebastiano Vici); oppure per un corpo d’organo separato (ad esempio il “melodium” tergale), dotata di griglie orizzontali (ne è un esempio la “cassa armonica” dei Lingiardi).

Il corista fu in genere alto in Italia settentrionale fino a tutto il Seicento (durante il Settecento poi gli strumenti vennero regolarmente abbassati), mentre in Italia meridionale (compresa Roma) esso era basso (dalla fine dell’Ottocento gli strumenti vennero alzati).

Il temperamento del tono medio, diffusissimo in epoca rinascimentale e barocca, sopravvisse a lungo (impiegato dai Serassi a Colorno, 1792 – 1796); ancora nella seconda metà del sec. XIX non era generalizzata l’adozione del temperamento equabile.

La tradizione organaria italiana – tecnica