Willi Apel è stato un grande musicologo, cui si devono fra l’altro alcuni importanti studi pionieristici sulla notazione e sull’uso delle alterazioni, nonché fondatore del prestigioso (e talvolta controverso) Corpus of Early Keyboard Music.
A proposito dell’uso intenzionale delle dissonanze e del cromatismo, Apel in un articolo intitolato Punto intenso contra remisso, che si legge nella raccolta Renaissance and Baroque Music, Franz Steiner Verlag, Stuttgart, 1989, a pagina 181 fa notare che all’abbondanza di esempi di “falsa relazione” presenti nelle fonti spagnole, inglesi e tedesche se ne contrappone l’assenza o la tarda attestazione in Italia. Infatti Apel riporta un solo esempio tratto dalla Selva di Bernardo Storace pubblicata nel 1664. Similmente anche la Francia non mostra particolare simpatia per questo mezzo espressivo: è citato solo Nicolas de Grigny, anch’egli collocato ben oltre il tumultuoso periodo della fioritura musicale tastieristica tra la seconda metà del Cinquecento e l’inizio dell’epoca barocca.
A ben guardare, però, contaminazioni “iberiche” potrebbero essere sfuggite, senza far troppo chiasso, certo, ma lasciando intendere che un’eco forse non troppo tenue della polifonia spagnola era intesa anche a Napoli.

Durante il Rinascimento i legami politici e culturali tra Spagna e Italia furono strettissimi, e tuttavia ciascuna civiltà conservò tratti distintivi assai netti. Dunque alla Spagna la sua polifonia e all’Italia la sua. Ma basta scorrere i nomi dei maestri della cappella di palazzo a Napoli, per accorgersi della presenza incontrastata di musicisti d’origine spagnola, borgognona o fiamminga, da Diego Ortiz (1555-1570) a Francisco Martinez de Loscos (1570-1583), a Bartolomeo Le Roy (1583-1599), sino a Giovanni de Macque (1599-1614), maestro e predecessore di Trabaci alla cappella.
Francisco Salinas fece parte per qualche tempo della cappella napoletana (era musico di camera del Vicerè Don Pietro). Christobal Obregón fu organista di cappella prima di Jean de Macque.

Riascoltando di Giovanni Maria Trabaci il versetto II del IV tono (1615) ho avuto un soprassalto: nella mia memoria si sono sovrapposti due schemi noti, ma tenuti sinora rigorosamente separati, perché avevo sordamente aderito allo schema didattico “Spagna ≠ Italia”…

Ora, a parte l’uso eccezionale del Re♯, saporitamente condito con una quinta diminuita di passaggio, spiccano le due false relazioni alle battute 7 e 9. Di esse la prima è giocata fra il Fa♯ del Soprano e il Fa♮ del Basso, con il Tenore che presenta la classica linea melodica che sale all’ottava del Basso e torna indietro attraverso la cosiddetta settima inglese; la seconda è giocata fra tre parti: Basso e Soprano presentano rispettivamente Sol♮ e Sol♯ a distanza di XV, mentre l’Alto esegue a ridosso del Soprano la figura della settima inglese.
Un appello più evidente di così… e naturalmente nel IV tono, dove se ne scorge un altro esempio forse meno frastornante al v. 8 mis. 9.

mi re fa mi
Tag: