L’orecchio umano è in grado di percepire suoni con frequenze comprese grosso modo fra 20 e 20000 Hz. Un individuo sano e giovane può quindi abbracciare l’intera gamma sonora dell’organo, dalla nota più grave, il DO di 32′ con la frequenza di 16,35 Hz, alla più acuta, il DO di 1/16′ con la frequenza di 8372,02 Hz. Tuttavia intorno ai 40 anni d’età la soglia acuta si riduce a 16000 Hz e poi ulteriormente sino a 8000 Hz.
L’orecchio umano non risponde linearmente all’intensità del suono. Tra la sensazione percettiva, cioè la sonorità stimata fisiologicamente dall’orecchio, e la potenza sonora, cioè lo stimolo acustico che agisce sull’orecchio, sussiste una relazione approssimativamente logaritmica, che è influenzata da diversi fattori: per esempio la frequenza del suono, il timbro, la provenienza delle componenti sonore; inoltre a bassi livelli di intensità tale relazione assume un andamento meno definito. Dunque la sonorità percepita di note aventi la stessa intensità è diversa a seconda della frequenza.
Per evidenziare graficamente la correlazione psicofisica tra frequenza e intensità si ricorre alle curve isofoniche, ottenute rapportando in un piano cartesiano le intensità espresse in decibel sull’asse delle ordinate con le frequenze espresse in hertz sull’asse delle ascisse. A ciascuna curva corrisponde un livello sonico espresso in phon, e poiché l’orecchio non è ugualmente sensibile all’intensità a tutte le frequenze, si evidenziano le risposte per le varie dinamiche musicali pp, p, mp, f, ff. La massima sensibilità si colloca intorno ai 3800 Hz, in corrispondenza della risonanza del condotto uditivo, mentre decade verso gli estremi del grafico, ma più accentuatamente nella zona grave. Fra 200 e 6000 Hz l’andamento delle curve è piuttosto omogeneo; quasi parallelo all’asse orizzontale nella regione fra 500 e 1500 Hz.
L’intensità acustica del DO 4′ di 130,81 Hz deve essere circa 10 – 15 dB maggiore di quella del DO 1/2′ di 1046,50 Hz affinché le due note siano percepite con uguale sonorità.

grafico delle curve isofoniche dell'udito umano

Poiché l’intensità sonora di una canna labiale dipende direttamente dalla sua taglia, è evidente che per compensare la caduta di rendimento nel grave, bisogna aumentarne il diametro nel registro basso.
Queste scelte appartengono propriamente al campo estetico musicale. Ad esempio nell’epoca rinascimentale il gusto per la chiarezza polifonica faceva propendere gli organari a mantenere i bassi chiari e leggeri, con diametri stretti, seguendo progressioni che non enfatizzassero le regioni estreme della tastiera. Mentre la ricerca di un maggiore equilibrio tonale fu promossa in epoca barocca, con lo sviluppo di scale in cui si introducevano valori correttivi per compensare la carenza dei bassi e mantenere cantabilità nei soprani. Una spiccata caratterizzazione in senso solistico ricevettero alcuni registri appositamente sviluppati in epoca romantica per emulare le sonorità orchestrali mediante progressioni in cui gli acuti risultano proporzionalmente più larghi.
Il parametro più importante per la definizione della qualità tonale di una canna è il diametro, o meglio il rapporto tra diametro e lunghezza del corpo. Questo rapporto determina l’intensità sonora complessiva e la predominanza dell’armonico fondamentale sulle formanti parziali. A parità di altri parametri (larghezza e altezza di bocca, pressione) una taglia larga, come nei flauti, si connota per la corposità e la potenza sonore, mentre una taglia stretta, come nei violeggianti, è caratterizzata dal timbro chiaro mordente e dalla relativa leggerezza.
La larghezza di bocca è il secondo parametro: a parità di circonferenza, suona più intensamente una canna con bocca larga, mentre l’altezza di bocca, l’ampiezza della luce e l’apertura al piede sono generalmente rapportate alla pressione e al timbro desiderato. La proporzione normale è di ¼, cioè Lb = Ø·π/4
Delle canne labiali: larghezza di lastra
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