Nella prefazione al ciclo di versi sul settimo tono, nel secondo libro del 1615, Trabaci dichiara l’intento di “variare” le cadenze conclusive per destinare la serie al Gloria della Messa della Madonna.

Mi sembra di vederlo gesticolare: «Benigno lettore, ch’aggi’a fa’? Tutti cambiano ‘sto tono, chi per bemolle e chi per diesis, chi lo traspone per le feste e chi per l’officio. E mo’ lo cambio pure io, capisci a mme: usalo per la Gloria, ch’è ‘na bbellezza e tu farai ‘nu figurone.»

Per il Gloria della messa della Madonna l’intonazione è solitamente abbassata di una quinta. Trabaci abbassa anche lui di una quinta, ma senza Sib, fregandosene dell’infrazione alla modalità. Francamente non capisco che bisogno avesse di chiamare in ballo autorità come Tigrini, quando poi fa come gli pare…
Ho controllato un po’ di organisti italiani tra Cinque e Seicento. La trasposizione alla quinta inferiore nei versetti per il Gloria della messa della Madonna composti da G. Cavazzoni, C. Merulo, A. Gabrieli, A. Banchieri e fra’ B. Bottazzi è regolare, con conclusione sul Do con il Sib in chiave.
Invece G. B. Fasolo e Trabaci pur concludendo sul Do non mettono il Sib.

Nei ricercari Trabaci si attiene alla dottrina dei 12 toni naturali (Glareano e Zarlino) e rispetta i vincoli teorici, mentre nei versetti si considera libero, come quando compone gagliarde, canzoni o toccate. Anche la trasposizione degli otto toni ecclesiastici (o salmodici) secondo l’esigenza pratica e le convenzioni d’uso dovrebbe perciò ricondursi a questa libertà.
Dice espressamente nella prefazione ai versi:

Essendo stato importunato da’ miei amici, ch’io mandassi nelle stampe questo secondo libro di Ricercate, ed altri varij capricci del mio rozzo ingegno, m’è parso bene, per giovare al mondo, ed a chi fa professione d’Organista, accompagnare a queste ricercate Cento versi sopra gli otto Toni Ecclesiastici, per risponder alle Messe, Vesperi, tutti Divini Officij, ed in ogni altra sorte d’occasione, e l’ho scritte in quell’ordine, sì come stanno le mie prime Ricercate stampate.
M’occorre (benigno Lettore) dichiarare un dubbio sopra questi Cento versi, e di tutta quest’Opera (esclusi però i Dodici modi naturali di questo presente mio libro). Vi sono hoggi al mondo molti della professione, quali credo non siano bene informati, o per dir meglio, non si ricordino (salvo però i buoni) che parlando delli Dodici modi naturali, e precisamente delli otto finali Ecclesiastici, li nostri antichi gli hanno messo in uso, e se ne hanno serviti di quella medesima maniera che hoggidì noi stessi ce ne serviamo, nulladimeno noi sappiamo che questi Dodici Toni son fondati sopra queste sei Corde: D. E. F. G. A. C., e questa divisione sopra una Corda far Primo, e Secondo, e dare il termine a detti Toni, che nel Canto figurato non passino venti, o ventidue voci al più, non è fatto per altro se non solo per comodità di quanto può salire, e scendere la voce humana; ma se noi trattiamo in cose di sonare, godemo molte licenze più larghe, che non habbiamo in cose di cantare. Per esempio: Io farò una Cantilena per un Cimbalo, o concerto di Violini, o d’altri instromenti i quali ricercano una Musica di Consonanze lontane per lo effetto dell’orecchio: questa cantilena la farò non solamente ventidue voci, ma Cinquanta, se mi sarà necessario, e secondo l’occasione che mi trasporta, e la scriverò con quelle chiavi si come più comodo mi torna, non per questo s’ha da notare, e dire ch’eschi fuor di Tono, e che l’ottavo in camminar tanto in alto diventi settimo, e che il Terzo diventi nono, e che il Primo bisognava scriverlo con queste, e con quell’altre chiavi, questa è regola di prima scuola, e questo avvertimento, e sottigliezza si dee tenere in un Motetto, in un Madrigale, e particolarmente in una Ricercata scritta, come potrete veder in questi Dodici modi del presente mio libro, ove così nella Compositione, come anco nell’ordine vi s’è riguardato molto chiaro, e distintamente, ma in questa materia di Versetti, o Fioretti (come dimandargli vogliano) o in una Canzona Francese, Gagliarde, Partite diverse, o in una Toccata non si dee riguardar che scenda, o che saglia più del ordinario, mi basta ch’io non eschi fuor di Tono, e vi lasci in Tono; ma già che la Natura artefice di tutte le cose humane non che inventrice, e maestra di quelle [orig.: “quella”] con sì bell’ordine ha trovato un istromento di tanto valore com’ è il Cimbalo composto di tanti tasti, se non fosse stato al proposito non l’havrebbe prodotto, ed inventato, ond’io dovea, e poteva in questa sorte d’occasione avvalermene, come già ho fatto. A Dio.

Però, dopo avere destinato la serie di versetti al Gloria e dopo averci convinti pienamente che ognuno può scrivere come più gli garba, eccolo salire in cattedra: […] tutti i Toni si possono trasportare in tutti quei luoghi dove si ritrova la loro specie della Diapente, & Diatessaron […] e chiamare in causa Orazio Tigrini e Marco Padovano. Ora, nel settimo tono la quinta è solmizata ut-re-mi-fa-sol (cioè tono, tono, semitono, tono) e la quarta è re-mi-fa-sol (cioè, partendo dall’ultima nota della precedente quinta, tono, semitono, tono). Mettendo in successione gli intervalli si ottiene g-a-h-c-d + d-e-f-g. Se abbasso di una quinta la successione ottengo c-d-e-f-g + g-a-b-c, e perciò ci vuole un b in chiave… Ma tutta questa teoria non serve a nulla, se nelle cadenze si usano le note formule con la “sensibile” e la terza maggiore.

Questioni di lana caprina
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