L’antichità, il Medioevo e il Rinascimento

Gli antichi Romani conobbero l’organo, attraverso la Grecia: Filone, Erone e Vitruvio attribuiscono l’invenzione dell’organo “idraulico” a Ctesibio d’Alessandria (III secolo a.C.). Nel 1931 in Ungheria presso l’antica Aquincum furono rinvenuti frammenti di un organo a canne: non doveva essere molto dissimile da quelli che compaiono in raffigurazioni plastiche e musive coeve.

L’organo fu introdotto in chiesa in epoca carolingia (IX secolo). Dapprima comparve nelle maggiori chiese del clero secolare; durante i secoli XIII-XIV però la sua diffusione fu incentivata dagli ordini mendicanti, incontrando l’avversione degli ordini monastici e dei canonici regolari. Tuttavia essa s’attenuò nel Quattrocento (i Certosini ancor oggi non praticano l’organo).

Nella prima metà del secolo XV s’incontrano numerose figure di organari (Matteo di Paolo da Prato attivo in Toscana, Tommaso Ingegneri, Bernardo e Giorgio d’Allemagna attivi nell’Italia settentrionale) che costruiscono strumenti basati sul principio del blockwerk, un unico “ripieno” senza divisione di file.

La separazione delle file in singoli registri avviene verso la metà del secolo ad opera di organari quali Petrus Albus tedesco, Antonio Dilmani (figlio di Bernardo, già citato), Leonardo d’Allemagna e Giovanni.

La figura di maggiore rilievo è quella di Lorenzo di Giacomo da Prato, attivo tra 1460 e 1480 dal Veneto a Napoli: tra il 1470 e il 1475 egli realizzò in San Petronio a Bologna probabilmente il primo grande organo a registri d’Europa (10 registri, con i principali duplicati e triplicati nei soprani, 51 tasti sulla base di 24 piedi).

Di Domenico di Lorenzo da Lucca (1452 + 1525), attivo dalla Toscana al Veneto e alla Lombardia, restano consistenti reliquie a Firenze (SS. Annunziata: in cornu Epistolae), Lucca (Cattedrale: in cornu Epistolae) a Lodi (Incoronata).

Suo allievo fu Giovanni di Antonio Piffero (attivo tra 1515 e 1525) autore degli organi senesi della cappella del Palazzo Pubblico e delle chiese di S. Agostino e di S. Maria della Scala.

Durante l’intera prima metà del ‘500 la figura di Giovanni Battista Facchetti domina la scena dell’Italia settentrionale da Venezia a Genova attraverso Bologna, Ferrara, Cremona, Piacenza, Bobbio, Crema, San Benedetto Po, Modena. Con le sue opere sono gettate le basi dell’organaria rinascimentale italiana:

  1. strumenti di 12 piedi (a Cremona e Piacenza sono di 24),
  2. manuale di 50 tasti e pedaliera di 20,
  3. 10 registri (con la classica coppia di Flauti in VIII e in XII, preferito a quello in XV),
  4. somiere a vento,
  5. riduzione con catenacci di ferro.

All’affermazione di questo modello classico diede sostanziale contributo la dinastia degli Antegnati di Brescia, soprattutto Graziadio (c. 1525 + c. 1588) e suo figlio Costanzo (1549 + 1624), reso celebre anche dalla redazione del trattatello L’arte organica (Brescia 1608), contenente il catalogo degli organi usciti dalla sua bottega. Il ramo milanese della famiglia è rappresentato da Giovanni Giacomo e suo figlio Benedetto.

Dalla bottega del Facchetti presero le mosse gli allievi Taddeo Cestoni e Giovanni Giacomo Calvi di Piacenza;altri nomi meno noti sono Marcantonio Briosi da Mantova, Bernardino e Paolo Molinini di Piacenza e Giuseppe e Giovanni Angelo Vitani di Pavia.

Durante lo stesso secolo fiorirono altre figure o stirpi di organari:

  • a Cremona Giacomino Fissirago, Giacomo Filippo Maineri e suo figlio Giovanni Francesco, Lorenzo Stanga;
  • a Milano i Valvassori (Cristoforo, Giovanni Battista, Lucio, Ercole, Michelangelo e Girolamo) giungono fino alla metà del Seicento;
  • a Brescia sono attivi i discendenti di Costanzo Antegnati sino alla fine del ‘600, cui si affiancano Tommaso Meiarini e Bernardino Virchi;
  • nella repubblica di Venezia operarono durante il Cinquecento le famiglie dei Vicentini e dei Trasuntini, ma la figura emergente sembra essere quella di Vincenzo Colombi da Casale Monferrato, cui subentrò Vincenzo Colonna;
  • in Toscana fiorì la scuola cortonese, con Luca di Bernardino, Onofrio Zeffirini (attivo tra 1550 e 1575), Giovanni Battista Contini (1543 + 1603), Cesare Romani (1544 + 1616), alla cui stirpe diede lustro Luca (1583 + 1644);
  • la scuola lucchese annovera la famiglia Ravani, con Andrea (1575 + 1616), Cosimo (1584 + 1635) e Bartolomeo, e altri nomi noti Carlo Puccini (1614 + 1686), gli Stefanini (Bartolomeo e Jacopo), i Cacioli (Domenico, Giovanni Francesco, Domenico junior), Domenico Matteoni, Benedetto Maracci, Buonfiglio Vambre, Giovanni Domenico Natale Franchini, i Crudeli (Michelangelo, Giuseppe, Salvatore e Federico) fino alle soglie del secolo XIX;
  • Tratti divergenti dal tipo d’organo usuale presentano spesso le opere dei Cipri (Giovanni c. 1505 + 1575, i figli Giuliano e Paolo e il figlio di questi Agostino) per la presenza di registri ad ancia (Tromboni di lunghezza reale e Cornamuse a tuba corta) e talvolta persino del Flauto unisono del Principale; la loro attività promana dal ceppo ferrarese e si estende da Bologna a Piacenza, a Brescia, a Fano.
  • Simile indirizzo seguì il centese Baldassarre Malamini (c. 1540 + 1614), presente a Bologna, a Modena, a Ravenna, a Reggio Emilia, a Loreto.
La tradizione organaria italiana – storia