L’organaria in Italia centrale

Le vicende dell’arte organaria in Umbria, Marche e Lazio risentono in certa misura della particolare funzione esercitata da Roma.

Nella città eterna s’avvicendano maestranze lombarde, toscane, romagnole, umbre, marchigiane, abruzzesi o napoletane: sul finire del ‘400 operano in S. Pietro in Vaticano dapprima Giacomo Giovanni da Lucca (nel 1475) e poi il suo concittadino Domenico di Lorenzo (nel 1495-96, per la costruzione di un organo rimasto famoso, commissionato da papa Alessandro VI). Costruiscono nuovi strumenti il salernitano Stefano Pavoni a S. Maria del Popolo nel 1499 e, poco dopo, i napoletani Giovanni Matteo di Nicolò e Giovanni Donadio detto Mormanno in S. Maria della Pace. Troviamo lo stesso Giacomo Giovanni da Lucca nel 1480 al Duomo di Orvieto impegnato a costruire un organo a due tastiere, il primo esempio del genere in Italia, dotato di positivo tergale.

Verso la metà del Cinquecento è la volta del cremonese Nicolò Tezani con l’organo della chiesa di S. Spirito in Saxia (commissionato da papa Paolo III), il cui prospetto eccezionalmente suddiviso in 3 campate (secondo l’impianto della finestra serliana) diventa il prototipo per l’organo romano da allora in poi. Qualche tempo dopo il veneziano Venereo da Legge s’impegnava per nuovi strumenti a S. Maria sopra Minerva (1562), a S. Agostino (1563) e a S. Maria in Trastevere (organo Altemps, in cornu epistolae). Nel 1581 il fiammingo Sebastiano Hay (organista al Santuario di Loreto) viene ingaggiato dai Gesuiti per costruire a S. Apollinare un organo a due tastiere “more flandro”, cioè con positivo tergale; subito imitato dai toscani Domenico Benvenuti (di Colle Valdelsa +1587) e Francesco Palmieri (di Fivizzano) tra il 1585 e il 1586 a S. Maria in Aracoeli. Quasi contemporaneamente (tra il 1579 e il 1584) lo stesso Benvenuti realizzava nel Duomo di Orvieto un imponente strumento di 24 piedi, ancor oggi in parte superstite entro la magnifica cassa disegnata dall’architetto Ippolito Scalza.

Nella seconda metà del Cinquecento a Roma si trovano Marco Antonio Fontanini da Parma, Benvenuto Benvenuti (figlio di Domenico), Marino e Vincenzo da Sulmona (+ 1591), Girolamo Asprelli napoletano, Giovanni Guglielmi da Serravezza, i romagnoli Giuseppe Brighini e Tiberio Menghi. Su tutti sembra emergere il perugino Luca Blasi, che si aggiudica la prestigiosa costruzione dell’organo di 24 piedi in S. Giovanni in Laterano voluto da papa Clemente VIII per il Giubileo del 1600.

Durante il Seicento operarono Stefano Blasi (fratello di Luca), Francesco Maria Tibaldi, Pompeo Dedi e gli spoletini Ascanio, Armodio Maccioni ed Ennio Bonifazi (+ 1654), sotto il cui magistero crebbero Giuseppe Catarinozzi di Affile, c. 1628 – 1684) e Giuseppe Testa (1629 – 1677), capostipite di un’attivissima famiglia di organari, le cui tracce si rinvengono fino nel Pistoiese (Popiglio, 1665), nel Bolognese (Porretta, 1705-06) e perfino a Tirano in Valtellina (Santuario, 1697); sono documentati i figli di Giuseppe: Filippo (1665 – 1726), Giacomo (1667 – post 1697), Pietro (1673 – ?) e Giovanni Battista (1675 – 1753), i figli di Filippo: Damaso (1692 – c. 1728) e Celestino (1699 – 1772, monaco silvestrino), Lorenzo (1670 – post 1717). Nella seconda metà del secolo operarono Girolamo e Giacomo Borghese, Matteo Marioni e Filarco Virgiliani (ai quali risalgono le canne interne dell’organo della cappella del Voto nel Duomo di Siena, costruito per commissione di papa Alessandro VII Chigi), Girolamo Zenti (più noto come cembalaro), Cesare Catarinozzi (nipote di Giuseppe); inizia l’attività di un’altra stirpe, quella degli Alari: da Giacomo (originario di Lodi, 1645/46 – 1727), i suoi figli Giovanni Antonio (1685 – 1762), Lorenzo (1692 – tra 1774 e 1781), Angelo Mattia (1702 – post 1737) e Giovanni Giuseppe (1704 – 1763), i figli di Lorenzo: Antonio (c. 1723 – c. 1798), Giovanni (c. 1734 – 1767) e Adriano (c. 1739 – post 1767); poi Domenico (figlio di Giovanni, c. 1759 – post 1827), il di lui figlio Lorenzo Benedetto (1783 – post 1841) e il figlio di questi Domenico (1812 – post 1833).

A Roma operarono anche organari stranieri: Willem Hermans, i Gehenni (Antonio e figlio Emilio Bonaventura, documenti dal 1679 al 1719) e Giovanni Corrado Verle (1701 – 1777).

Nell’Ottocento furono attivi Pietro Pantanella e i Priori (Enrico, Filippo, Girolamo e Attilio). I Serassi collocarono importanti strumenti a S. Maria dell’Anima, al Gesù e a S. Paolo fuori le mura.Attivi furono anche gli umbri Martinelli e, soprattutto, Angelo e il figlio Nicola Morettini noto per la costruzione dei due organi dell’abside di S. Giovanni in Laterano.

Altri organari presenti a Roma furono il toscano Agostino Beni, i fiamminghi Vincenzo e Gabriello Fulgenzi, il riminese Giovanni Piccioni, il parmense Giulio Cesare Burzi, il francese Antonio Reinieri, e poi W. Hermans, i romani Alari e i marchigiani Fedeli nel secolo XVIII, lo spoletino Nicolò Giovannini, Angelo Cataleni e il figlio Giovanni Martino di Foligno, Luigi Galligari tra Sette e Ottocento e Alderano Spada nella prima metà del secolo XIX; altri nomi sono quelli dei fratelli Antonio e Francesco Martinelli, attivissimi anche nelle Marche, autori di strumenti dalla fattura accurata e solidissima, e dei Morettini, autori di innumerevoli strumenti sparsi per tutta l’Italia centrale, la cui stirpe iniziata da Angelo (allievo di Sebastiano Vici) fu proseguita dal figlio Nicola.

Ancor più articolata risulta la presenza di organari nelle Marche, aperte all’apporto di organari veneziani fin dalla prima metà del secolo XV con Paolo, poi nel ‘500 con Vincenzo Colombi, infine tra ‘700 e ‘800 con la massiccia importazione di organi costruiti da Pietro Nacchini, Gaetano Callido e Giacomo Bazzani. Non mancano le tracce di fiamminghi (Vincenzo Fulgenzi, Sebastiano Hay), dei bolognesi Giovanni Cipri e Baldassarre Malamini, del riminese Giuseppe Greppi (1668). Durante il Seicento operarono Giuseppe Bottega, Antonio Paci, del quale sopravvive un pregevole organo nell’oratorio del SS. Nome di Dio a Pesaro (1631), Lattanzio Vagnozzi di Porchia (1688) e suo nipote Bernardino Guidotti (1707); nonche il laziale Giuseppe Catarinozzi (di cui sopravvive il monumentale organo di S. Severino al Monte, 1673). Durante il secolo XVIII fiorirono a Montecarotto Benedetto Antonio Fioretti, Bernardino Antonio Gasparrini (1690 – 1779) e Sebastiano Vici, quest’ultimo autore di una personalissima sintesi degli influssi callidiani. Si conserva nella Parrocchiale di Aliforni l’interessante organo di Cesare Catarinozzi (1716).

Ma di gran lunga importante fu la dinastia dei Fedeli, originari della Rocchetta di Camerino, la cui operosa attività si estese agli Abruzzi, all’Umbria, alla Romagna fino a Ferrara e a Mesola sotto la foce del Po. Al più antico Venanzo (attestato 1716 – 1737) seguono i figli Giovanni (doc. 1741 – 1789), Giuseppe (doc. 1755 – 1784) e Francesco (doc. 1744 – 1774); a Feliciano (doc. 1734 – 1742) fanno corona i figli Raffaello (doc. 1762 – 1789), Domenico Antonio (doc. 1747 – 1789) e Bernardino (doc. 1762 – 1789); il nome Filippo è attestato nel 1723 ma anche nel 1786 e 1795, in quest’ultimo caso accompagnato da un figlio Francesco; Andrea è documentato dal 1781 al 1795 ma ancora nel 1831 – 1835; altrettanto dicasi di Adriano tra 1752 e 1778; nell’anno 1800 lavorano Feliciano e Ferdinando (questi ancora nel 1819); a Foligno risulta attivo Domenico (1843 – 1876), del quale è probabilmente figlio Zeno, che chiude la serie allineandosi completamente entro i nuovi schemi d’importazione transalpina.

Ancora nel Settecento sono da ricordare i Feligiotti di Urbania: Arcangelo (1729 – 1796) e Andrea (1760 – 1835) attivo nell’Aretino; Giuseppe Ciaberri di Ascoli, Giuseppe Attili di Ortezzano, Francesco Polinori di Pesaro, Giovanni Battista Mei di Belvedere, Angelo Albertini di Jesi, Vincenzo Montecucchi.

Durante l’Ottocento opera a Cingoli la stirpe dei Cioccolani: Pietro (1834), Francesco (1842), Giuseppe (doc. 1850 – 1884), Odoardo (doc. 1866 – 1885), Pietro (doc. 1864 – 1906), Alceste (doc. 1898 – 1919). Ad Ascoli Piceno raggiunsero rinomanza Giovanni (1815 – 1846) e Vincenzo Paci (1811 – 1886); a Caldarola lavoravano i Santilli: Francesco (doc. 1838 – 1842) e Antonio (attestato a Roma, 1867-68), a Matelica i Del Chiaro: Camillo (doc. 1852 – 1867) e Gaetano, poi i Carletti: Carlo (doc. 1869 – 1890) e Silvio; per non dimenticare Angelo Cimarelli di Fano, attestato nel 1826, e Giacinto Colombati (1852).

La storia organaria abruzzese è in buona parte ancora da tracciare: per il Cinquecento si ricordano i nomi del borgognone Vincenzo Beltramo (presente a Teramo nel 1544), dei veneziani Andrea e Giacomo Vicentini, dei lancianesi Francesco Paolo e Camillo Sabino, parenti del più noto compositore Ippolito, attestati nel 1564 e 1569; in seguito è noto Giuseppe Della Forgia, attestato nel 1639. Più consistente la presenza di organari locali durante il Settecento, accanto agli onnipresenti Fedeli: i D’Onofrio di Caccavone con Buonafede (1771), Francesco (17753 e Pasquale (1802); il teatino Andrea Pompa (1780), Onofrio Cacciapuoti di Vasto (1796), Pasquale Moscato (1763), ma soprattutto i Fedri (legati ai Fedeli?) di Affri: Adriano (doc. 1760 – 1787, autore dell’interessante anche se danneggiato organo della chiesa del Carmine di Penne), Damaso (1784) ed Emidio (1784 e 1789). A cavallo tra ‘700 e ‘800 risultano attivi i Ciavarelli di Castiglion Messer Marino: Donato Antonio (1780) Nicola (1782) e Isidoro (1836-37). L’Ottocento è dominato dai Gennari originari di Rovigo, stabilitisi a Lanciano, di cui sono noti: Giovanni (doc. 1787 – 1823, autore del singolare e cospicuo strumento della Parrocchiale di Città S. Angelo), suo figlio (morto a Napoli ante 1854, celebre per i suoi lavori nelle abbazie di Montecassino e di Cava dei Tirreni), i figli di questi Gaetano e Lelio e il nipote Quirico Cipollone; sono attestati anche un Luigi (1808) e un Ferdinando (1868). A Civitaquana sono presenti i Di Profio: Angelo (1855) il di lui figlio Giovanni (1873) e Vincenzo (1871). Sono da ricordare, accanto al romano Tommaso Vajola (doc. 1845 – 1885), Emilio Mampieri (autore dell’interessante organo della chiesa del Carmine di Celano, 1839) e Raffaele Mascia di Agnone (figlio di Giuseppe, doc. 1839 – 1852), autore di manufatti di eccellente falegnameria.

L’organaria documentata nella regione non presenta caratteristiche peculiari, ma è degna di nota la singolare frequenza del positivo tergale, attestato a S. Valentino d’Abruzzo Citeriore (Arcipretale, eliminato), a Palena (S. Francesco, distrutto) e a Notaresco (chiesa del Carmine: limitato a 14 canne di Tromboncini, corrispondenti al pedale: Do1 – Fa2 con prima ottava corta, metà sec. XIX). Si conoscono anche due casi di registri ad ancia disposti orizzontalmente in facciata: nell’organo maggiore della basilica di S. Bernardino all’Aquila (Feliciano Fedeli, 1728) e in quello della chiesa di S. Domenico ad Atri; in quest’ultimo caso il registro è articolato in un Tromboncino Bassi 4′ (di fattura affine a quella veneta) e in una Tromba Soprani 8′, cui fanno riscontro un’ottava corta di Tromboni al pedale e un Violino soprani 8′, regale collocato sul bordo interno del somiere e racchiuso in cassetta espressiva alla maniera di S. Vici.

La tradizione organaria italiana – storia