L’organaria in Emilia

Nelle province emiliane di Bologna, Modena e Reggio sopravvisse a lungo il modello rinascimentale d’impianto e d’intonazione: a fianco dei Colonna e dei Traeri, operarono nel secolo XVII i riminesi Sormani (Giacomo Battista e Vincenzo) e Giuseppe Greppi, i bolognesi Ottavio Negrelli e Giovanni Battista Giacobazzi, i parmensi Michelangelo Rangoni, Giulio Cesare Burzi, i Lanzi (Carlo e Giuseppe) e i Tortona (Girolamo, Antonio e Ottavio); nel secolo successivo furono attivi i bolognesi Domenico Maria Viola, Francesco Antonio Sgargi, Domenico Gentili, Petronio Giovagnoni, Antonio Bortolotti, Antonio e Gioachino Pilotti e, soprattutto, la stirpe dei Gatti (Giuseppe, Francesco, Filippo e Vincenzo). Si deve notare che nei confronti degli organi antichi i maggiori artigiani furono assai più rispettosi dei loro colleghi veneti, non andando al di là dell’abbassamento del “corista” e dell’aggiunta, occasionale, della Voce Umana; purtroppo ricostruirono “a tiro” i somieri, ma grazie alla loro manutenzione gli organi rinascimentali emiliani oggi esistono e suonano ancora.

Nella seconda metà del Settecento qualche timido passo verso l’allargamento del quadro sonoro è compiuto dall’ultimo dei Traeri (Agostino), da Giovanni Cavalletti (attivo da Ferrara a Piacenza, ma soprattutto a Parma), dai vari componenti della famiglia Fedeli (attivissima dalle Marche, terra d’origine, all’Abruzzo, all’Umbria, in Romagna e nel Ferrarese), da Giovanni Chianei (attivo a Ferrara e in Romagna), mentre i parmensi Poncini (Antonio, Bernardo e Antonio Negri Poncini) restano ligi alla tradizione anche nella frequente adozione del somiere “a vento” che essi, come già i Lanzi e i Tortona, costruivano con i listelli di chiusura inferiore dei canali senza incollatura, ma estraibili a scopo di ispezione e di riparazione di eventuali guasti dei ventilabrini.

Durante l’Ottocento i maestri lombardi (Serassi, Bossi, Tonoli) sono attivi in Emilia e dettano il gusto cui aderiscono i fratelli reggiani Filippo e Giuseppe Riatti, i bolognesi Vincenzo Mazzetti, Giuseppe e Gioacchino Sarti, Alessio Verati, Pietro Orsi, Giuseppe Guermandi, i riminesi Pietro Zanni, Gaetano Boninsegni e Luigi Guerra Gazzagoni, seppure ad un livello generalmente modesto, con l’eccezione dei bolognesi fratelli Rasori (Cesare, Quintino e Ferdinando), che si distinsero per l’accuratezza della falegnameria e per l’originalità di soluzioni tecniche e sonore.

Degno di menzione per la qualità delle opere è il modenese Cesare Zaboli, cui fanno contorno figure minori come i conterranei Felice Bettelli, Don Francesco Battaglini, Don Tommaso Piacentini, Don Giuseppe Mariani, Ermenegildo Sighinolfi, Geremia Magnanini, Giosue Battani ed Eugenio Bonazzi, quest’ultimo già allineato sui nuovi indirizzi propugnati dal movimento ceciliano.

La tradizione organaria italiana – storia