L’epoca barocca

Nei primi decenni del Seicento si stabiliscono a Bologna i veneziani Vincenzo Colonna e l’allievo e figlio adottivo Antonio Dal Corno (alias Colonna), quest’ultimo seguito dal figlio Giovanni Paolo (noto come compositore e maestro di cappella a S. Petronio); nella seconda metà del secolo si trasferisce a Bologna Carlo Traeri di Brescia, capostipite della famiglia attiva in Emilia Romagna per un secolo (i figli Domenico, stabilitosi a Modena, e Francesco, rimasto a Bologna, i nipoti Giuseppe e Ugo Annibale, infine Agostino).

A Roma fu un evento importante la costruzione dell’organo “more flandro” ad opera di Sebastiano Hay nella chiesa di S. Apollinare, annessa al Collegio Germanico: lo strumento possedeva due tastiere, con positivo tergale. I toscani Domenico Benvenuti e Francesco Palmieri realizzarono a S. Maria in Aracoeli nel 1585-86 uno strumento simile.

Dall’organaria transalpina mutuano alcune caratteristiche foniche e costruttive gli organi di Gubbio (S. Pietro) e Orvieto (Duomo) costruiti dal fiammingo Vincenzo Fulgenzi (alias Vulfangh) qualche anno dopo. Adriano Banchieri nelle sue Conclusioni nel suono dell’organo (Bologna 1609) li descrive come degni di nota. A loro volta essi influenzarono sicuramente il perugino Luca Blasi, autore del monumentale organo di 24 piedi di S. Giovanni in Laterano a Roma (1599).

Intorno alla metà del Seicento si chiude l’epoca d’oro dell’organo rinascimentale italiano, tuttavia il modello classico rimane vivo a lungo: esempi notevoli sono gli strumenti su base di 12 piedi di Michele Carbone al Santuario della Caravina (Valsolda, 1675), di Francesco Traeri a Pieve di Cento (Parrocchiale, 1707) e di Domenico Traeri a Modena (S. Carlo, 1714), Fiorenzuola d’Arda (Collegiata, 1733) e Comacchio (Cattedrale, 1728). Inoltre la rigorosa impostazione del Ripieno a file separate, affiancato da un Flauto e, ma non sempre, dalla Voce Umana discende dal modello classico e si ripete immutata attraverso i secoli negli organi di piccole dimensioni o “positivi” forniti dalle botteghe degli organari veneti, emiliani, toscani e napoletani. D’altronde, era questa “la sostanza d’un buon organo” che raccomandava ancora nel 1652 il padovano Antonio Barcotto nel suo trattato Regola e breve raccordo per far rendere agiustati e regolati ogni sorte d’istromenti da vento cioè organi, claviorgani, regali o simili.

Quando il gesuita fiammingo Willem Hermans (1601 – post 1679) e lo slesiano Eugenio Casparini (1623 – 1706) scesero in Italia trovarono una tradizione ben codificata su cui innestarono elementi dell’organaria transalpina: l’articolazione dell’organo in più “corpi” (in particolare il Brustwerk e l’organo eco laterale), l’impiego dell’armonico di terza nelle due accezioni di flauto (Cornetto) e di ripieno (Sesquialtera), l’adozione delle canne di legno e dei registri di pedale e l’impiego esclusivo del somiere “a tiro”. Hermans fu intensamente attivo a Roma (S. Apollinare 1666, S. Agnese in Agone 1666-1673, Gesù 1679), ma anche altrove, specialmente in chiese della Compagnia di Gesù: da Torino (SS. Martiri) a Palermo (Casa professa) attraverso Como (Cattedrale), Genova (S. Maria di Carignano e SS. Andrea e Ambrogio), Modena (S. Bartolomeo), Pistoia (S. Domenico e S. Spirito), Orvieto (Duomo e XII Apostoli), Collescipoli (Parrocchiale).

Alla lezione di Hermans sono legati molti filoni della tradizione organaria sei-settecentesca:

  1. la scuola lombarda: dal comasco Carlo Prati (1617 – 1700), attraverso la probabile mediazione dei Reina (Giovanni -Battista e Giuseppe) e forse dei valtellinesi Rogantino (Giovanni, Francesco e Carlo), sino ai Serassi e ai Bossi, attive a Bergamo ma entrambe di origini comasche;
  2. la scuola veronese-gardesana: a Desenzano le stirpi dei Bonati (o Bonatti: Giuseppe, Angelo e Girolamo) si allineano alla lezione di Prati, seguiti dai Benedetti (Giuseppe e Paolo), dai veronesi Gaetano Amigazzi, Girolamo Zavarise e Sona (Giovanni Battista e Antonio), da G. B. Doria di Bogliaco del Garda e dai mantovani Montesanti (Andrea, Luigi e Ferdinando);
  3. la scuola ligure: dal ceppo di Tommaso (I) Roccatagliata (lavorò per Hermans al Duomo di Orvieto nel 1674) discendono Lorenzo e Tommaso (II), Filippo Piccaluga e i Ciurlo (Giovanni Battista, Francesco e Luigi);
  4. la scuola pistoiese: i Tronci provengono dall’ambito lucchese e gli Agati sono di formazione bolognese.
La tradizione organaria italiana – storia