La scuola napoletana e l’organaria in Italia meridionale e in Sicilia

L’intera Italia meridionale è un campo in buona parte ancora da scoprire e studiare, sia per quanto riguarda il censimento degli organi antichi esistenti, sia per quanto attiene la ricerca documentaria. I frequenti terremoti e l’incuria umana hanno devastato il patrimonio organario, sicché non sono numerosi gli organi risalenti al periodo rinascimentale; la stragrande maggioranza degli strumenti delle chiese nell’Italia meridionale risale al XVIII e al XIX secolo. L’indirizzo impresso dagli organari operanti a Napoli è seguito generalmente anche dagli artigiani locali. Ciò spiega perché prevale un unico tipo di organo “positivo” di 4 piedi, con tastiera di 45 tasti, dotato di 7 o 9 registri (Principale, Ripieno a file separate, Tiratutti, Voce Umana e un Flauto in ottava o duodecima), con somiere a tiro, con i mantici collocati nel basamento, racchiuso in cassa normalmente arricchita da intagli e dorature, munita di sportelli. L’intonazione delle canne è sempre viva, a piena aria, con anime senza denti, con misure e proporzioni di eredità rinascimentale. Le bocche sono generalmente poste sotto il crivello, costruito di pioppo o altro legno tenero. Occasionali sono accessori come usignoli, tremolo e bordoni di zampogna.

La documentazione d’archivio finora esplorata rivela un’attività organaria a Napoli collegata alla corte fin dalla prima metà del secolo XV, talvolta collegata ad artigiani stranieri. Determinante sembra essere stata la presenza, a partire dal 1471, di Lorenzo di Giacomo da Prato: dapprima saltuaria (l’organaro toscano era letteralmente conteso dal re Ferdinando ai fabbriceri della basilica di S. Petronio a Bologna), la sua attività divenne continuativa al punto tale da richiedere la collaborazione dei figli Raffaele, Giacomo e Domenico e del genero Lazzaro di Ugolino. Alla fine del secolo emerge la figura di Giovanni Donadio detto Mormanno (+1539); tra i suoi numerosi allievi emerge Giovanni Francesco de Palma (detto pure Mormanno, da quando ne divenne genero nel 1526), attivo in collaborazione con Alessandro Raimondi, Nicola de Spellis e Giustino de Palma; quest’ultimo fu coadiuvato dal figlio Giovanni Francesco e da altri due De Palma, Giulio Cesare e Giovanni Andrea.

Durante il Seicento operarono Pietro e Martino De Franco, Pietro De Biase e i figli Carmine e Giuseppe, Girolamo D’Amato, Giacomo e Francesco Tondo, Vincenzo Miraglia, Carlo Sicola, Andrea e Giovanni Domenico Riccio, Giovanni Schibone, Filippo Pellegrino (+ 1669), Giov. Gualberto Ferreri (+ 1689), Giov. Maria Guglielmi, Giulio Cesare Molinaro (+ 1656), Crisostomo Noci, Benedetto Lapi, Aniello Mazza. Nel Settecento vissero Andrea Basso (doc. 1659 – 1742) e i Menna: Pietro Paolo, il figlio Donato Antonio e il figlio di questi Stefano (+ 1747), i De Martino: Giuseppe e i figli Giovanni Domenico-e Tommaso (doc. 1726 – 1750), i Cimmino: Felice e i discendenti Fabrizio (doc. 1734 – 1768), Francesco (doc. 1774 – 1784), Antonio (doc. 1795 – 1801) e infine Alessandro (attestato nel 1854). In pieno Settecento risulta attivissimo Domenico Antonio Rossi (doc. 1761 – 1789) con il figlio Francesco Saverio (+ 1795); altri nomi da ricordare sono Mauro e Giuseppe Gallo, Carlo, Nicola e Raffaele Mancino. Nell’Ottocento sono attivi Domenico Curci, (attestato 1825 – 1828), Raffaele De Rosa (doc. 1840 – 1848), Michele Sessa (1845), Raffaele De Feo (1834 – 1853), Gaetano Aveta (1823), Tommaso (1845-74) e Pasquale Alvano (1892), Luigi (1849) e Giovanni Galasso (1886-90), Pasquale Palmieri (1837), Francesco De Girolamo (1881), Michelangelo Colameo, Carlo Alboreto (1880-82), Marcellino e Giuseppe Abbate di Airola (1855-56). Vanno ricordati i Carelli di Vallo della Lucania, attivi nella seconda metà del secolo XVIII. Al tipo tradizionale di positivo rimasero tenacemente legati fino al Novecento i Favorito: Giovanni (1837), Gennaro (1883 – 1911) ed Elia (1891 – 1935) e i Petillo: Domenico, i figli Pietro e Giovanni e i nipoti Vincenzo e Gerardo.

In Puglia operarono artigiani locali e forestieri, in genere allineati sui modelli napoletani: Pietro De Simone di Bari (+ 1797), Francesco Giovannelli di Lecce (1745-68), Giuseppe Rubino (1740-67), Gennaro Brodezzo (1701), Alessandro Bruno di Lecce, Francesco Carelli (1769), Pasquale de Rossi di Giovinazzo, Luigi Palma di Maglie, Benedetto De Rosa (autore del singolare ed interessante organo della chiesa del Purgatorio di Gravina, 1790).

Per la Calabria sono da segnalare Raffaele De Rosa (1822) e Domenico Roppi (1837).

Caratteri distinti possiede l’organaria siciliana generalmente fedele a moduli costruttivi tardo-gotici e rinascimentali: la rastremazione del basamento rispetto alla cassa, la limitata profondità di questa (la basseria di legno del pedale e del manuale è portata fuori), l’impiego di rulli di legno al posto dei catenacci di ferro per la “riduzione” della tastiera, la decorazione a traforo della facciata che segue fedelmente l’altezza delle singole canne, l’impiego di misure strette e di proporzioni in auge durante il Rinascimento (la bocca dei Flauti è larga 1/6 della circonferenza). Va marcato l’uso esclusivo del somiere a tiro.

Tra i nomi noti si ricordano nel Seicento Raffaele (+ 1621) e Antonio La Valle e Pasquale Pergola; nel Settecento Ignazio Faraci, Baldassarre di Paula, Giacomo Andronico (1780), Antonio Mazzone, Giuseppe La Manna, Domenico Annibale Lo Bianco di Galati (1753). Durante l’Ottocento risultano attivi i Platania di Arcireale, Pasquale Gueli di Caltanissetta (1848-59), i Laudani di Palermo (in seguito associati ai Giudici di Bergamo), i Polizzi di Modica.

Un cenno particolare meritano per la loro singolarità i monumentali strumenti a più tastiere e finestre: dal prototipo realizzato a S. Nicola l’Arena in Catania (1755-77) dal napoletano Donato Del Piano (1698 – 1775) a quelli di Santa Flavia (Giacomo Andronico) e di Trapani (chiesa di S. Pietro, 1836-47) di Francesco La Grassa (1802 – 1867), che ne aveva realizzato uno anche a S. Martino alle Scale (presso Palermo) non più esistente; il principio è quello di affiancare ad una finestra centrale a 3 tastiere due finestre laterali (a destra e a sinistra) ciascuna dotata di uno (come a Catania) o due (come a Trapani) manuali, con quella di sinistra collegata a quella centrale, restando indipendente quella di destra, sicché per suonare l’organo al completo occorrono comunque due organisti.

La tradizione organaria italiana – storia